Le ragioni del declino della cultura italiana


Risposta alla domanda su Yahoo Answers: Sapete spiegarmi il processo di decadimento della cultura nel nostro paese?

il processo… non è una domanda facile. la cultura italiana è stata grande, ma ha avuto quasi sempre una caratteristica peculiare pericolosa: l’essere una cultura di corte. Leonardo, Michelangelo, Dante, Ariosto, erano artisti che lavoravano per i signori, o almeno erano mantenuti dai signori (o dai papi). Senza di loro sarebbero morti di fame.
Non c’era nulla di male in questo, il tempo era quello che era e non c’era altro modo per sopravvivere per gli artisti, inoltre lavorando per il papa o qualche ricco signore potevano avere a disposizione enormi somme di denaro per costruire monumenti e opere d’arte che da soli non avrebbero mai potuto realizzare.
La cultura italiana poi declinò per via dell’invasione degli stranieri, che ne fecero un campo di battaglia e una terra di conquista. in quella situazione politica non poteva crescere culturalmente nulla, se non per caso o con grande forza di volontà. A parte casi particolari come Metastasio, Leopardi e Parini la cultura italiana fino al risorgimento tre secoli dopo non poté dare quasi nulla. il resto della cultura europea era basato sui nascenti stati, grandi e centralizzati e retti da monarchie assolute, questi stati avevano le risorse e l’interesse per creare una propria cultura, mentre non avevano nessun interesse che si sviluppasse una cultura peculiarmente italiana, che avrebbe dato vita a un desiderio di indipendeza degli italiani molto probabilmente.
Quando l’italia ebbe un suo stato unitario le cose migliorarono un poco. l’unità d’italia distrusse però il regno di napoli, che era l’unico stato che, rimasto ancorato all’idea del signore feudale che favorisce gli artisti, aveva una vivace vita culturale, anche se ristretta praticamente alla sola Napoli. I piemontesi invece di cultura capivano poco, e avevano il terrore di qualunque idea che non riguardasse la glorificazione della patria, del re e del risorgimento. i savoia avevano il problema di unificare uno stato dalle tante diversità regionali, la censura dunque era molto forte nei primi decenni per impedire idee contrarie allo stato. Manzoni, Verdi e il libro cuore di De Amicis sono degli esempi del tipo di cultura che era permessa a quel tempo, gli unici artisti che potevano avere successo erano quelli che rappresentavano e glorificavano la patria.
Il periodo di transizione all’epoca moderna è rappresentato da personaggi come Pascoli e Carducci, letterati e professori universitari, gente seria che scriveva cose serie e dalla cultura e dagli studi alti. l’italia a quel tempo produsse anche altri personaggi relativamente minori, ad esempio il primo (e probabilmente più grande) storico meridionalista Giustino Fortunato. In generale il miglioramento della cultura italiana di quel periodo viene dal fatto che le università ritornano a funzionare dopo il medioevo, e producono professore, esperti di vari settori (dalla storia alle nascenti branche dell’antropologia e della sociologia). Questo perchè esistendo uno stato unitario non proprio ricco ma abbastanza ben messo economicamente e col desiderio e la necessità di creare una cultura italiana vennero fatti molti sforzi (e investimenti) nelle scuole, dalle elementari fino alle università.
Poi arriviamo alla prima guerra mondiale, che è una cesura netta col passato. Qui incomincia a formarsi una cultura vera, che non deriva tanto e solo dalle università ma anche dalla vita vera, e che spesso è contraria allo stato, o comunque critica, e non è solo fatta di specializzazioni universitarie e libri scritti ad uso e consumo di una manciata di esperti nel settore. Contemporaneamente, oltre alla tragedia della guerra, c’è la nascita dell’opinione pubblica: sempre maggiori persone sanno leggere, e Giolitti concede il diritto di voto a tutti i cittadini maschi. Nascono i partiti di massa e il popolo si ritrova improvvisamente a poter decidere del proprio destino. In questo scenario ci sono intellettuali com Dannunzio che si inseriscono cavalcando certi temi come il nazionalismo solo per diventare famosi, altri come i futuristi vogliono creare delle mode (altra cosa nuova di questo periodo), altri come Mussolini scrivono per ottenere i favori del pubblico ed il potere politico. Ma da questo momento si incominciano anche a formare degli intellettuali il cui obiettivo è sinceramente la crescita morale del paese, la ricerca della verità, l’espressione di se stessi, tutto ciò cioè che costituisce una vera cultura.
Non è un caso che tutti gli intellettuali italiano moderni siano nati nella prima metà del ventesimo secolo, e praticamente tutti nel primo ventennio. Poi arrivò il fascismo, e con esso arrivò la morte della cultura. Chi era già un intellettuale allora, o, come Montanelli, era giovane e aveva la possibilità di imparare dalle ancora tante menti libere che cercavano di sopravvivere sotto la dittatura, arrivò poi al periodo dell’italia repubblicana, ma dopo di loro non nacque nessun altro. Perchè?
Il fascismo aveva portato al potere gli uomini più stupidi e meno meritevoli, favorendo la naturale propensione degli italiani alla corruzione, alle raccomandazioni, all’adulazione e al nepotismo. In più gli intellettuali dovevano essere rispettosi dell’autorità del duce, e dovevano seguire tutte le stupide regole che nel corso del ventennio furono create sul modo in cui bisognava parlare, scrivere e degli argomenti che si poteva trattare. un bambino che nasceva in quel periodo non poteva finire che per imparare che lo studio e l’intelligenza non pagano, né poteva facilmente trovare esempi edificanti che lo spingessero ad amare la cultura in un paese dove tutti marciavano al passo dell’oca e cantavano canzonette sulle donne africane e sul duce.
Dopo la fine della guerra la cultura italiana conobbe un momento molto rigoglioso. la fine del fascismo aveva liberato tutte le forze creative degli intellettuali che erano sopravvissuti al regime e alla guerra, erano gli anni di Montanelli, Longanesi, Prezzolini, Guareschi, Montale, Silone, Buzzati… ma fu un periodo breve.
Che cosa ne causò la fine? in parte fu dovuto al clima politico: la guerra fredda e la divisione tra democrazia cristiana e comunismo non lasciava spazio alle mezze misure, ed era alla fine non molto diverso che durante il fascismo, la sola differenza era che dovevi scegliere tra una delle due filosofie. Alcuni come Silone e Pasolini furono comunisti poi usciti dal partito o non capiti, Guareschi finì in prigione e non ricevette nessun aiuto dalla democrazia cristiana a cui aveva dato una grossa mano nel dopoguerra con le storie di don Camilo, e altri come Montanelli furono a lungo criticati ed emarginati con l’accusa di essere stati fascisti. Il vero intellettuale non può attenersi ad una scuola di pensiero e seguire i dettami dei preti o di Stalin, ma sempre più in italia i veri intellettuali vennero considerati quelli etichettabili e con la tessera di partito.
l’altra ragione è stata il boom economico degli anni 60. la ricchezza, come sempre accade, ha rammollito gli italiani, e ha ridotto sia il loro interesse verso la cultura che il loro desiderio di produrne. un bambino negli anni 60 poteva desiderare di entrare in qualche associazione cattolica o farsi prete, fare il politico comunista o il sindacalista, oppure diventare un cantante famoso come quelli che incominciavano a vedersi in televisione e sulle prime pagine di molti giornali, oppure poteva desiderare di diventare un medico o un avvocato. Ben pochi però potevano pensare di diventare intellettuali e artisti, perchè il mondo che avevano intorno non gli faceva pensare queste cose, i loro genitori, quasi sempre poveri e ignoranti, potevano credere nella Chiesa, nel partito, e nello studiare per ottenere un buon lavoro che li facesse diventare abbastanza ricchi e importanti, non nello scrivere libri, comporre poesie o cose simili. E più cresceva il benessere e più la gente e i bambini pensavano solo ai soldi e al divertimento, e non alle idee.
Un’altra ragione è che si impose la televisione, che è uno strumento di fruizione passiva. All’inizio fu anche utile per insegnare a leggere agli analfabeti con le lezioni del maestro Manzi, ma ben presto si trasformò solo in uno strumenti di divertimento e controllo politico. L’intellettuale e l’artista hanno bisogno di poter vedere molte realtà diverse e poterle reinterpretare per creare qualcosa di nuovo, la televisione invece ti offre poche cose nuove e di valore, e tutto è sempre filtrato dal potere e le idee, i fatti e le persone più strane, curiose e interessanti sono censurate. Inoltre la televisione non è interattiva, puoi solo subirla, non puoi fare domande e non puoi criticare.
Per ultimo la scuola dopo il ’68 è andata sempre più peggiorando. Non è che la scuola italiana prima fosse eccezionale, era seria e dura, e con ben poca clemenza verso i figli delle famiglie più povere e ignoranti. ma dopo divenne troppo permissiva nel lasciare passare chiunque e nel non imporre nessuna disciplina. La cultura ha bisogno anche di studio e di ordine, non solo di creatività, e negli ultimi decenni gli italiani non hanno avuto la possibilità di studiare con ordine nelle scuole pubbliche. Imparando poco o niente non hanno potuto creare cultura, perchè per creare qualcosa devi avere delle conoscenze da poter reinterpretare, la cultura non si crea dal nulla. Dopo le guerre mondiali e la sparizione della miseria più nera gli italiani non hanno più avuto, per la gran parte, delle situazioni di vita estreme da cui imparare, non hanno dovuto sopportare grandi prove e sacrifici. Questo è quello che formò gli intellettuali italiani dopo la prima guerra mondiale, e la loro eccezionalità e il loro valore consisteva proprio nel fatto che avevano esperienze importanti e anche (in genere) studi seri e disciplinati. Il boom economico e la pace tolsero la possibilità di fare grandi esperienze e sentirsi protagonisti della storia e in grado di contribuire a cambiarla, trasformando la gente in semplici spettatori davanti alla televisione o leggendo i giornali; e lo scadimento della storia tolse anche la possibilità di crearsi una cultura almeno sui libri. Quindi dagli anni 70 in poi è quasi impossibile che qualcuno abbia solo pensato di diventare un artista o un intellettuale, perchè tutto il mondo che ci circonda ci spinge in direzioni diverse.
Per ultimo bisogna dire che gli stati moderni, e l’italia in particolare, non favoriscono di certo la cultura. soprattutto non favoriscono la cultura vera, che denuncerebbe la corruzione dei partiti politici, l’idiozia dell’economia consumistica, la follia degli armamenti moderni (è di ieri la notizia della costruzione del primo missile intercontinentale indiano, con cui l’india potrà colpire con bombe atomiche anche la Cina e la Russia in caso di guerra). La cultura che va bene per gli stati moderni è quella delle canzoni da sanremo, dei film senza nessun reale contenuto ma tanti effetti speciali in 3d, dei libri di Bruno Vespa… tutto ciò che aiuta a non pensare è considerato una attività culturale nel mondo d’oggi, il resto è terrorismo, antipolitica o fanatismo.


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2 risposte a “Le ragioni del declino della cultura italiana”

  1. AH, quanto condivido questo articolo. BRAVO…! Davvero reale e imparziale. Sarebbe bello potere analizzare anche le possibili soluzioni reali per poter uscire da questa melma, da questo declino nazionale.

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