Come nascono i diritti delle donne


Un secolo fa un giudice siciliano nelle motivazioni della condanna di uno stupratore scriveva che la gravità del fatto era che:

Le aveva rubato la sua virtù, l’unico bene che ella possedesse.

Questo giudice intendeva dire che la ragazza dopo lo stupro non era più vergine, e quindi difficilmente avrebbe trovato marito, e nella Sicilia di allora una donna che non trova marito poteva fare solo la prostituta per sopravvivere, a meno che non fosse di famiglia ricca. La violenza sessuale in questo caso veniva considerato come un reato contro il patrimonio, non contro la persona, cioè come il furto dell’unico bene che una ragazza povera avesse: la verginità, che le poteva permettere di trovare un marito che quantomeno l’avrebbe potuta mantenere.

Oggi questa sentenza può sembrare barbara e incivile, contraria ai diritti delle donne. In realtà era perfettamente sensata e giusta a quel tempo, perché la violenza in sé era secondaria rispetto alle conseguenze che la perdita della verginità costituiva per quella ragazza. La dignità, il rispetto della persona e del suo corpo, contano poco se poi quella persona è costretta a prostituirsi.

Dobbiamo chiederci come nascono i diritti delle donne per capire meglio questi cambiamenti. Le cose in Italia incominciarono a cambiare con l’episodio di Franca Viola, che venne rapita e violentata da uno spasimante rifiutato che era anche figlio di un boss della mafia, e che si rifiutò di sposarlo. Il matrimonio riparatore era allora (e lo è rimasto fino al 1981) un istituto giuridico vero e proprio, e permetteva di cancellare il reato di violenza se l’uomo acconsentiva a sposare la ragazza, anche nel caso fosse minorenne. Questa legge ha continuato ad esistere per così tanto tempo per coprire le fuitine, in cui due ragazzi i cui genitori erano contrari al matrimonio scappavano per qualche giorno, e una volta che tornavano e la ragazza era ormai compromessa in genere le famiglie acconsentivano al matrimonio. Senza questa legge il padre della ragazza avrebbe potuto uccidere il ragazzo avendo molte attenuanti, oppure avrebbe potuto denunciarlo per violenza e rapimento.

Quindi non si trattava di una legge maschilista, retrograda e ingiusta, era adatta ai tempi e alla società per cui era stata pensata. Ai tempi di Franca Viola, anche se la Sicilia degli anni ’60 non era certo un esempio di modernità, una ragazza poteva permettersi di fare quello che aveva fatto lei perché la società era ormai cambiata, e infatti lei ebbe l’appoggio dei genitori e poté poi sposarsi lo stesso con l’uomo che amava.

Oggi si può fare un paragone con l’infibulazione in Africa: Emma Bonino e tutte le femministe che si preoccupano della condizione delle donne africane non si rendono conto che loro vivono in una società diversa, in cui senza l’infibulazione difficilmente troverebbero marito e finirebbero in qualche albergo di qualche grande città a prostituirsi per gli stranieri, morendo di aids a non più di 30 anni probabilmente. Ma loro pensano che le donne africane dovrebbero avere le stesse aspirazioni e le stesse preoccupazioni delle donne europee, peccato che loro non abbiano a disposizione anticoncezionali, difficilmente possano sopravvivere da sole senza sposarsi, e debbano lavorare e occuparsi dei bambini tutto il giorno senza l’aiuto delle babysitter e delle scuole, e senza avere alcuna possibilità di fare carriera. È lo stesso modo di pensare per cui le donne afghane dovrebbero essere felici di essere state liberate dai talebani perché così possono mettersi la gonna, se poi la loro casa è stata distrutta dai bombardamenti o i loro parenti sono stati uccisi nei combattimenti o durante l’occupazione americana è secondario rispetto al piacere di poter mostrare la propria femminilità.

In generale si può dire che la condizione delle donne e genericamente tutte le gerarchie e le organizzazioni di una società sono un insieme organico, non puoi modificare un pezzo senza fare molti altri cambiamenti per adattare il resto. L’economia è normalmente alla base di questi cambiamenti: i diritti delle donne ne sono l’esempio più semplice, visto come si sono sviluppati in Europa proprio dopo la prima guerra mondiale, in cui le donne nelle fabbriche erano diventate fondamentali per l’andamento della guerra, e per diversi anni avevano portato avanti loro la famiglia guadagnando il pane. Una volta finita la guerra le donne non vollero ritornare nel ruolo della mogliettina borghese che si distingue dal fatto che non fa assolutamente nulla perché la servitù in casa fa tutto e il lavoro è per la povera gente. Poi sono arrivati gli anticoncezionali che hanno dato la libertà sessuale alla donna, senza infatti rischierebbe ogni volta di rimanere incinta e i cortei del ’68 con le scritte “la vagina è mia e me la gestisco io” sarebbero apparse ridicole, perché anche nel caso le donne fossero state libere di gestire la loro vita sessuale senza gli anticoncezionali sarebbero state comunque molto prudenti. È un mito delle femministe l’idea che la doppia morale che consentiva agli uomini di avere decine di amanti e alle donne no fosse semplicemente una questione dovuta al dominante maschilismo, anche se certo contribuiva anche quello, ma era soprattutto la biologia che non consentiva alle donne di avere molta libertà.

Se non si cambia l’economia dunque, non si può pensare di cambiare la morale sessuale o le tradizioni. Le donne africane potrebbero abbandonare l’infibulazione se avessero la possibilità di mantenersi da sole con un lavoro nel caso non trovassero marito (o non lo trovassero subito), e se potessero avere un facile ed economico accesso alla contraccezione. Così anche le donne vittime di violenze fino a quando per sopravvivere avevano bisogno di trovarsi un marito non potevano permettersi di pensare ai danni psicologici della violenza, perché i danni materiali erano molto più gravi e più duraturi.


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