Luigi Magni, poco conosciuto e ricordato rispetto ai grandi registi italiani del ventesimo secolo come Fellini e Monicelli, realizzò diversi film sul risorgimento, un tema contrastato e (soprattutto) ormai di nessun interesse per quasi tutta la gente. I suoi film più famosi sono stati “In nome del popolo sovrano”, “In nome del Papa re” e “Nell’anno del Signore”. Tutti quanti meriterebbero di essere visti e commentati, e credo scriverò articoli su ognuno di essi in futuro, così come meriterebbero di essere visti “State buoni se potete” (sempre incentrato su Roma e il papato, ma al tempo di San Filippo Neri), e “Secondo Ponzio Pilato” (il più bel film su Gesù che sia mai stato fatto, nonostante gli angeli avessero le ali di cartapesta e volassero attaccati a degli evidentissimi fili).
Ma non amando io rispettare la logica normale e fare come tutti gli altri, commento per primo il suo ultimo film: “La carbonara”. Il titolo è un gioco di parole con gli spaghetti alla carbonara e l’organizzazione segreta della carboneria, perché la protagonista è padrona di un’osteria che si chiama proprio “La carbonara”, e offre aiuto ai carbonai che hanno bisogno di nascondersi e fuggire dallo stato pontificio. Vedrà il ritorno del suo primo amore, che però sarà subito catturato dai soldati e condannato a morte per appartenere alla carboneria, e scoprirà poco dopo che anche il marito, che credeva rapito e ormai morto dopo essere stato rapito dai briganti, era stato carbonaro e per questo era scomparso, ma poi si era fatto frate.
Rispetto al primo film del genere di Magni si nota una visione molto meno rigida del mondo, in “nell’anno del Signore” i carbonari apparivano come degli eroi, mentre in questo film non ci sono buoni né cattivi, o quantomeno non ci sono martiri. Un carbonaro può diventare frate o credere di essere miracolato dalla Madonna, un cardinale può essere amico di un gruppo di banditi, la Fede è un concetto universale che è proprio degli uomini più diversi, dei migliori, e può diventare fede nella Chiesa come nella carboneria, in Dio come nella libertà, perché alla fine, soprattutto nella Roma decadente del diciannovesimo secolo, non c’è poi tanta differenza. Chi crede userà il potere che gli deriva dall’uniforme che indossa per cercare di aiutare gli altri, sia una uniforme di soldato, di carbonaro, di cardinale, di bandito o di Papa. E chi non crede userà la poca o tanta autorità che ha solo per se stesso.
È stato anche uno degli ultimi film di Nino Manfredi, qualche anno prima della sua morte, che interpreta il cardinale che può condannare o graziare il carbonaro protagonista del film. Manfredi è l’equivalente cinematografico di quello che De André è stato musicalmente nella descrizione della Chiesa e della religione, ha interpretato un altro cardinale protagonista di “in nome del Papa re” e anche Ponzio Pilato in “secondo Ponzio Pilato”, era molto adatto ad interpretare ruoli religiosi, a dargli solennità e valore morale pur con storie e personaggi particolari e non convenzionali.
Il film è meno solenne e più positivo dei precedenti sul risorgimento, si può sintetizzare nel “ma che me frega?” che la protagonista dice sempre per sdrammatizzare, l’atteggiamento tipico dei romani che sotto i bombardamenti, le guerre, le occupazioni militari e i processi politici si mettono a cantare all’osteria cercando di stare allegri, tanto se qualcosa gli deve capitare gli capita comunque. Ed è la più bella chiave di lettura del risorgimento, che non fu guerra di popolo e rivoluzione ma neanche farsa, ma solo il desiderio di un po’ più di libertà.
Non tanta.
Un po’.