Possiamo far risalire la nascita della politica e dei politici al 2800 a.C. in Mesopotamia, nella città di Uruk, più o meno il periodo in cui governò Meskiaggasher, il primo re della città secondo i miti. Inizialmente le città sumere erano incentrate attorno al tempio, e la classe sacerdotale era anche depositaria del potere politico, primariamente perché i sacerdoti erano indovini, sapevano interpretare i segni degli dei e le ragioni della loro collera. In un paese imprevedibile come la Mesopotamia, in cui una inondazione improvvisa per la piena del fiume poteva distruggere da un giorno all’altro case e raccolti, il fatto di poter prevedere e di poter cercare di influenzare con riti e sacrifici il volere degli dei era ritenuto fondamentale.
Le cose però gradualmente cambiarono, e la classe sacerdotale finì per essere soppiantata da dei politici laici, probabilmente perché crescendo le tensioni tra le varie città e aumentando le guerre i soldati assunsero sempre più importanza e prestigio sociale, perché se era vitale difendersi dalle inondazioni, era anche vitale non essere conquistati da città rivali o essere razziati da qualche tribù di nomadi.
Ma cos’è che fa realmente la differenza rispetto a prima? Perché questi re che governano dal palazzo, e non dal tempio, sono i primi veri politici? La ragione sta nella legittimità: i sacerdoti avevano un potere che gli derivava dalla magia e dalla conoscenza degli dei, potevano dire quello che volevano e giustificarsi dicendo di aver avuto una visione e che quella era la volontà della divinità. I re no, non avevano più questa automatica legittimazione della religione, dovevano convincere la gente per mantenere la loro autorità.
La politica, nel bene e nel male, consiste sempre in questa opera di convincimento. Anche nel caso di dittatori che fanno ampio uso della forza, perché devono comunque convincere una ampia parte dell’esercito a collaborare ed essere dalla loro parte, altrimenti non sarebbero in grado di reprimere l’opposizione nel sangue.
Il potere diventa più inefficiente e lo stato più debole man mano che chi ha il potere non ha bisogno di dimostrare la propria legittimità, o quando essa è legata a cose stupide (come il fatto di essere il figlio legittimo del precedente re) che non influenzano e non hanno nulla a che vedere con l’effettivo esercizio del potere.
Sembra si possa individuare un pattern ripetitivo nella storia: ogni volta che una nuova forma di governo viene inventata all’inizio i governanti sono più o meno capaci e moderati, perché devono rendere conto delle loro decisioni ad altri (il popolo, i nobili, una ristretta cerchia di notabili, il clero, l’esercito o qualunque altro gruppo possa mettere in discussione il loro potere); poi col passare del tempo la gente si abitua che chi è al potere c’è perché è così e basta, e gli stessi governanti si fabbricano delle autogiustificazioni per non dover rendere conto di niente a nessuno. Questa parabola fa sì che i governanti diventino, a parte qualche fortunata eccezione, sempre peggiori, il governo funziona sempre peggio, fino a quando o lo stato stesso crolla sotto la pressione di minacce esterne od interne (guerre, invasioni, inondazioni, rivolte dei contadini o di qualche generale ribelle), o una rivoluzione distrugge il vecchio sistema di governo sostituendolo con un altro.
All’inizio la religione era il solo sostegno del potere dappertutto, anche in Egitto il faraone era considerato un dio, e in Cina i re della dinastia Shang erano in contatto con la divinità, e potevano trarne dei presagi come i sacerdoti sumeri. Gli esempi del crollo della legittimazione sono altrettanto sparsi nel tempo e nello spazio: nell’impero romano accadde quando Diocleziano sancì la divinizzazione dell’imperatore; ad Atene con l’introduzione della graphē paranómōn (legge che limitava l’isegoria, la libertà di parlare in assemblea senza il rischio di subire processi per ciò che si diceva); nel medioevo fu il diritto divino dei re di governare; in Giappone la fine dello shogunato iniziò quando, dopo 250 anni di governo autocratico, per la prima volta quando il commodoro americano Perry chiese l’apertura del paese al commercio minacciando la guerra il governo chiese il parere politico dei vassalli, dimostrando la sua debolezza e incapacità di decidere; in Cina il crollo dell’impero fu segnato dalla sua incapacità di attuare la modernizzazione del paese, tentativo culminato nei cento giorni e che fallì miseramente, e nel finire per l’appoggiarsi alle truppe straniere per domare le rivolte popolari, ricordando ai cinesi che anche la dinastia Qing era straniera (perché di origine della Manciuria).
La cosa più interessante oggi è vedere il decadimento della legittimazione della democrazia. In Italia si ha un esempio chiaro nel caso di Berlusconi, che sostiene che i voti della gente dovrebbero essere una ragione per proteggerlo da qualunque processo, che processare lui significa insultare chi lo ha votato. In realtà chi l’ha votato sapendo già che era un criminale ha insultato se stesso facendolo, non sono i giudici che hanno reso Berlusconi un criminale ma le sue azioni. Il fatto di usare i voti come scusa per difendersi dai processi è la dimostrazione di quanto in basso sia caduto il valore del voto, è del tutto simile allo stabilire un governo per diritto divino, solo sostituendo a Dio il popolo, o meglio minoranza di persone che lo ha votato. In pratica il potere politico è divenuto solo uno scudo per difendere una schiera di criminali, che non devono rendere conto a nessuno di quello che fanno.
Un altro esempio è dato dalla democrazia americana, che ha come capi dei reucci che decidono i paesi da bombardare (o fingono di essere loro a deciderlo) senza che il congresso abbia alcun reale potere di fermarli. Bush junior ha potuto invadere l’Afghanistan senza chiedere alcuna autorizzazione, nonostante fosse incostituzionale, e ha potuto truccare le elezioni in Florida che sono state decisive per la sua elezione senza subire nessuna conseguenza, nonostante tutti gli americani sapessero che lo aveva fatto. Sono esempi di come sia chiaro che oggi la democrazia americana non è affatto una repubblica, e di come il voto non abbia nessuna importanza e possa essere apertamente manipolato senza che interessi a nessuno.
In passato ci sono state monarchie come quella inglese che sono sopravvissute cambiando per tempo, riducendo il livello delle ingiustizie sociali e mantenendo un alto livello di responsabilità morale per il re e i parlamentari, che pur avendo privilegi non potevano ignorare né le leggi né il popolo. La monarchia francese invece andò incontro alla rivoluzione perché non seppe riformarsi e fare qualche passo indietro. La monarchia spagnola e quella portoghese persero l’impero e il potere per ragioni simili, pur senza una rivoluzione paragonabile a quella francese.
È inevitabile, quindi, che in un prossimo futuro diverse democrazie crollino, e nascano nuove forme di governo, che sperabilmente, almeno in alcuni casi, miglioreranno alcuni dei difetti dei moderni sistemi democratici, mentre altri paesi riusciranno a riformarsi e a evitare cambiamenti troppo drastici. Oggi la gente vive come in un sogno, s’illude che queste democrazie continueranno a vivere per sempre perché sono l’unico sistema di governo che tutti hanno visto nel corso della loro vita; ma questo era valido anche per le monarchie assolute qualche secolo fa, a parte casi particolari come la Svizzera tutti gli stati europei e quelli mussulmani erano delle monarchie, ed era impensabile uno stato in cui non ci fosse un re. Questo non vuol dire che molte delle conquiste fatte negli ultimi due secoli nella organizzazione politica saranno abbandonate, anche le monarchie assolute ebbero il merito di creare diversi stati nazionali, governi accentrati e forti, una burocrazia più efficiente, e un sentimento nazionale nel popolo, tutte cose che non sono morte con i re e gli imperi. Molte cose rimarranno, ma la struttura fondante del potere e della società dovrà cambiare totalmente o parzialmente nel prossimo futuro nelle democrazie moderne.