La modernità della rivoluzione


La rivoluzione è il più grande mito dell’epoca moderna. Dalla rivoluzione francese in poi centinaia e centinaia di rivoluzioni si sono succedute fino ad oggi, vere o false, trionfanti o fallimentari, durature o molto temporanee.
Oggi purtroppo non c’è più né il mito né il ricordo della rivoluzione, perché nell’ignoranza che ha pervaso gli ultimi decenni con la guerra fredda si è sempre associato la rivoluzione col comunismo, quindi morto il comunismo è morta anche la rivoluzione. In realtà ciò che incominciò in Francia non ebbe niente a che vedere col comunismo, alla base vi era l’idea che il popolo potesse liberarsi contro un governo assoluto e inefficiente, e vi erano intellettuali che sostenevano e fomentavano la rivolta.

La rivoluzione francese non fu una semplice rivolta, come le tante rivolte dei contadini che la Francia aveva periodicamente visto in passato, fu un cambiamento di mentalità. I contadini legati alla terra, al rispetto del re e dei nobili, e a tutta la tradizione medievale non potevano concepire una rivoluzione, cioè un cambiamento della forma di governo; per loro era scontato che il re fosse a capo dello stato, e che governasse per grazia di Dio, era l’ordine del mondo così come i campi venivano coltivati rispettando l’ordine delle stagioni. Se i contadini morivano di fame potevano protestare, ma mai pensando di sostituire la monarchia con un’altra forma di governo, per il semplice fatto che non immaginavano potessero essercene delle altre.

Per questo la rivoluzione francese fu una rivoluzione urbana, e non genericamente urbana ma specificamente parigina, perché nella grande capitale le idee degli illuministi potevano circolare facilmente, si potevano distribuire volantini e libelli, si potevano fare riunioni nel retro delle osterie, si poteva dunque istruire, coinvolgere e compattare la gente. Questo non significa che la rivoluzione in generale debba essere urbana. Che Guevara e prima di lui Mao teorizzarono e misero in pratica la rivoluzione che dalle campagne conquistava le città, e in paesi diversi come la Cina e Cuba questa tattica, con i mezzi e gli uomini giusti, poteva funzionare.

Dunque non è possibile trovare grandi similitudini tra le varie rivoluzioni degli ultimi due secoli, perché sono avvenute in paesi diversi, con geografie, storie, tradizioni e tecnologie completamente differenti. Anche quella iraniana che ha portato al potere Khomeini è stata una rivoluzione, ma risulta difficile trovare molti punti di contatto con le rivoluzioni sudamericane o quella francese o russa. Tuttavia alla base di tutte le vere rivoluzioni, anche di molte fallite per interventi stranieri o per incidenti vari, sta l’idea di poter migliorare il mondo attuale, di poterne creare uno in gran parte nuovo e migliore del precedente.

La storiografia marxista reclutò tanti studiosi credo soprattutto per questo, perché il mondo moderno è sempre più ingiusto e violento, e se ti metti a studiarlo seriamente è molto deprimente pensare che non lo si possa cambiare, o perché è il migliore dei sistemi possibili o perché non ci sono alternative. Anche Montanelli quando in Ungheria vide i comunisti ungheresi che lottavano contro i russi ebbe un fremito, perché nonostante non credesse nel comunismo né negli eserciti popolari vedeva un popolo che sinceramente lottava e moriva per la propria libertà, il fatto che fossero comunisti era stato dettato dalle casualità della storia che li aveva portati a conoscere solo quella dottrina, e a poter combattere solo in nome di quegli ideali. E quello che intristiva Montanelli era che sapeva benissimo che i borghesi italiani, anche se i carri armati russi avessero occupato l’Italia, quel coraggio non l’avrebbero mai avuto, non tanto perché non avessero il coraggio di morire per qualcosa, quanto perché gli mancava qualcosa per cui avere il coraggio di morire.

Poi negli ultimi decenni nei paesi come l’Italia e l’America è nata la giustificazione che si può essere comunisti a vent’anni ma non più a quaranta. Si tratta di un modo per permettere ai vecchi comunisti e socialisti più opportunisti di riciclarsi dopo la caduta del muro di Berlino fornendogli una qualche scusante, e nel contempo è una riduzione dell’ideale della rivoluzione ad un semplice sogno infantile. In Inghilterra il grande Gladstone, che dominò la politica dell’ottocento rivaleggiando con la regina Vittoria, era nobile conservatore da giovane, solo maturando divenne socialista e primo ministro. Gladstone non era rivoluzionario perché l’Inghilterra non aveva bisogno di una rivoluzione, ed era abbastanza aperta politicamente da consentire notevoli progressi sociali democraticamente e senza bisogno di stravolgimenti rispetto al passato, tuttavia le condizioni di vita della parte più povera della popolazione e il colonialismo inglesi senza di lui sarebbero stati certamente peggiori.
Gladstone però viveva in Inghilterra e poteva permettersi di non essere rivoluzionario, così non è invece per la maggior parte delle persone, in tutto il mondo e in tutti i tempi, che vogliono cambiare le cose. È vero che i giovani spesso mitizzano la rivoluzione e la violenza ma questo non significa che in generale siano metodi sbagliati.

Quando un governo per troppo tempo non adempie ai suoi doveri, e il sistema politico è bloccato e arrugginito senza permettere reali ricambi di uomini e di idee, la rivoluzione è l’unico metodo per cambiare le cose. L’assolutismo illuminato non riuscì a salvare l’ancient regime, e Gorbaciov non riuscì a far sopravvivere in qualche forma il comunismo in Russia, non è possibile curare una organizzazione che è un malato terminale. È un po’ quello che Monti vorrebbe fare ora con l’Italia, tutti a discutere su come un uno per cento in più o in meno di iva distruggerebbe l’Italia o come la liberalizzazione delle licenze dei taxi salverebbe l’economia, sono modi di pensare paragonabili a dare un’aspirina a un malato di cancro e aspettarsi che dopo un po’ di tempo si senta meglio. Quando le regole vecchie non funzionano più bisogna cambiare le regole, poiché non è possibile riportare la mentalità della gente, l’economia, la società e la tecnologia indietro di secoli, quando quelle regole funzionavano ed erano rispettate. Cambiando le regole si spera che cambi anche la mentalità della gente, che anche quando non è rivoluzionaria comunque deve adattarsi ad una realtà diversa.

Purtroppo la gente non si rende conto di come una rivoluzione sia necessaria adesso nei paesi occidentali, e soprattutto in Italia e in America, di come sia impossibile cambiare il sistema in altri modi, e di come questo sistema sia inefficiente, iniquo e assassino. I poliziotti antisommossa rendono inutile qualunque corteo di protesta, la censura dei media fa il resto, e le elezioni sono assolutamente inutili nel momento in cui i due partiti di maggioranza sono sempre d’accordo su come non cambiare nulla e marginalizzare le poche persone oneste e intelligenti (o almeno una delle due cose) che si possono proporre alle elezioni (come Beppe Grillo  in Italia, o Ron Paul e Ralph Nader in America). La cosa più triste è che queste stesse persone che non comprendono di avere bisogno di una rivoluzione sostengono i colpi di stati stranieri come quello che ha coinvolto Gheddafi come se fossero delle rivoluzioni, non rendendosi conto che il governo di Gheddafi era molto migliore di quello italiano o americano; oppure pensano che gli egiziani che protestano periodicamente in piazza Tahir stiano facendo una rivoluzione, anche se non hanno nessun leader da mettere al governo, nessuna idea più o meno precisa del tipo di governo che vogliono o degli ideali a cui dovrebbe ispirarsi, con ogni nuovo governo che cerca di riportare ordine con la forza per trovarsi di fronte a una nuova protesta insensata che lo fa cadere, perché non avendo gli egiziani nessuna idea su cosa vogliono qualunque tipo di governo gli sembra arbitrario e violento, d’altra parte qualunque tipo di governo, anche con le migliori intenzioni, deve riportare l’ordine per poter funzionare, non può avere i cittadini continuamente in piazza.

Perché la rivoluzione non è l’instaurazione di un regime democratico, o la semplice protesta contro un governo più o meno dispotico, è la realizzazione di un nuovo ideale di stato. Se non c’è sinceramente il desiderio e la necessità di un cambiamento, e non ci sono le idee chiare su dove questo cambiamento deve arrivare e chi deve prendere il potere, si potranno avere solo rivoluzioni fallite, governi fantocci come quello libico attuale, o una perenne anarchia come in Egitto.


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