Una democrazia della cultura contro la democrazia dei partiti


Nel 1828 negli Stati Uniti infiammava la campagna presidenziale che vedeva sfidarsi John Quincy Adams, ex professore ad Harvard, e Andrew Jackson, un grande eroe di guerra. Uno slogan della campagna di Jackson distingueva così i due:

“John Quincy Adams who can write / And Andrew Jackson who can fight.”
 (“John Quincy Adams che sa scrivere / E Andrew Jackson che sa combattere.”)

Naturalmente vinse l’eroe Jackson. L’America essendo un paese di confine e per lungo tempo selvaggio e pericoloso ha dato vita a un mito della forza bruta che persiste ancora oggi, nonostante una delle cose migliori che siano riusciti a fare nella loro storia gli americani siano le università. E questo è continuato fino a Bush junior, che è riuscito a farsi eleggere per la seconda volta vestendo i panni di supremo capo dell’esercito in guerra, lui che aveva fatto il militare nell’aeronautica ma ha un quoziente di intelligenza tale che non dovrebbero permettergli di guidare neanche un triciclo, figuriamoci un aeroplano o uno stato.

Non è che tutti i militari siano per forza dei cattivi politici: Gheddafi e Sankara erano militari, così De Gaulle e Churchill (che era stato nell’esercito in gioventù e poi si era dedicato alla scrittura e alla vita politica). E l’America ha avuto anche Washington e Eisenhower come generali presidenti. Ma bisogna diffidare dei militari politici almeno quando la loro popolarità nasce da una guerra che scoppia improvvisamente quando il loro potere vacilla o ha bisogno di essere rinforzato: ad esempio come nel caso di Putin (che non era un militare ma era stato a capo dei servizi segreti e sostenitore della guerra in Cecenia) quando casualmente due palazzi saltarono in aria, secondo lui per colpa dei terroristi ceceni, facendo salire alle stelle le sue quotazioni politiche; anche l’attentato alle torri gemelle ovviamente è molto simile, ma in quel caso la ragione quantomeno non era certo quella di far guadagnare qualche punto a Bush (anche se è ciò che accadde), né era lui il mandante.

Con questo non voglio dire che i professori universitari siano dei candidati ideali per la politica: il governo Monti ne è un esempio, con tutti i suoi professori ed esperti vari è fatto di persone troppo ricche e troppo legate al mondo della finanza per poter essere un buon governo (certo sono un grande miglioramento rispetto a Berlusconi, ma non è un grande metro di paragone, anche Topo Gigio e Geronimo Stilton sarebbero un miglioramento rispetto a Berlusconi). Ma dei professori veri, rispettati a livello internazionale ed esperti in varie discipline potrebbero essere uno dei migliori modi per formare un governo in una nazione ricca, che può produrre grandi uomini di cultura, sicuramente migliore rispetto alla moderna democrazia in cui la gente vota dei partiti che poi vanno al governo senza alcuna cognizione di causa, senza conoscere nulla dei problemi che devono affrontare, e senza aver bisogno di avere nessuna particolare intelligenza o preparazione. Certo in Italia abbiamo avuto ministri Bossi e Calderoli che sono dei casi eclatanti che fanno impallidire, credo, qualunque altro ministro europeo, ma più o meno credo che sia un discorso che vale per la maggior parte dei governi occidentali.

Curiosamente la nostra società ha la potenzialità di produrre grandi menti facilmente: abbiamo centinaia di università, milioni di libri, migliaia di professori, internet… ed io credo che qualche grande mente venga prodotta, anche solo per caso, nonostante tutti i piaceri e le distrazioni della vita moderna, è che il sistema è fatto apposta per escludere le persone più capaci, soprattutto in Italia. Bisogna considerare seriamente dei personaggi come Bush, Bossi e Berlusconi, perché che dei personaggi così carnevaleschi e di bassa lega abbiano raggiunto un potere tale da poter decidere della vita e della morte di milioni di persone è preoccupante. Bush avrebbe potuto scatenare una guerra nucleare se il neurone che gli gira nella testa solitario un giorno si fosse svegliato di cattivo umore e avesse avuto voglia di polverizzare la Cina o la Russia; in Italia quando Berlusconi e Bossi si sono affacciati al potere la ‘ndrangheta era una modesta organizzazione criminale che riscuoteva il pizzo in Calabria e lottava con la sacra corona unita per organizzare l’immigrazione dei clandestini dall’Albania, oggi è una superpotenza estesa a tutta Italia e anche a molti altri paesi del mondo, che traffica armi e droga e con la sua attività provoca direttamente e indirettamente la morte di centinaia di migliaia (se non milioni) di persone all’anno, mentre i tribunali non hanno la carta e i computer, e la polizia non ha la benzina.

In una società dell’apparenza e abituata al cinema, alla televisione e alla pubblicità, è logico che vincano le elezioni i più ricchi, i più belli, i più telegenici. La gente vota alle elezioni esattamente come voterebbe un premio oscar o un telegatto, ascolta fiduciosa Berlusconi come ascolta Barbara d’Urso o Bruno Vespa, con la stessa cieca fiducia che deriva dal fatto di essere passivi telespettatori.

In un documentario sulla Cina di qualche anno fa il regista domandò a un ragazzo come mai non ci fossero contestazioni contro il governo, e lui rispose dicendo che i politici sapevano quello che stavano facendo, e non era compito del popolo giudicarli; successivamente il regista gli disse che era strano per gli occidentali questo amore verso il governo, al che il ragazzo cinese lo corresse dicendo “io non ho mai detto che amo il mio governo, ma ho fiducia nel mio governo”. Ecco quello che accade in Italia, e forse in misura minore in America e in molti altri paesi occidentali, è proprio il contrario: la gente vota i politici che ama, ma non si fida di loro. Il voto è un atto d’amore, o di fede, o di speranza, ma mai di fiducia. Per questo il modello cinese è migliore di quello democratico, almeno finché c’è senso di responsabilità nel partito, e un governo di professori e uomini di cultura sarebbe ancora migliore. La presenza di diversi partiti a cosa serve in un’era in cui non esistono più ideologie? Serve solo a far finta che esista antagonismo, in realtà tutti devono essere dello stesso partito, tutti devono fare il bene del paese, e devono essere scelti in base alle loro capacità e non alla loro bravura nel creare nuovi gruppi e slogan accattivanti. I partiti dovrebbero essere aboliti perché nel ventunesimo secolo non possono essere altro che una truffa: in Italia i partiti aumentano, cambiano nome, si uniscono e si dividono, ma le idee sono sempre di meno; in America ci sono due partiti che sono alla fine speculari e non hanno praticamente differenze, e anche i presidenti degli Stati Uniti sono tranquillamente intercambiabili, tanto a scrivergli i discorsi è sempre qualcun altro, così come a prendere le decisioni vere. Finché le persone potranno andare a votare mettendo una croce su un simbolo la situazione non potrà che peggiorare, perchè centinaia di politici sconosciuti continueranno ad essere eletti solo perchè sono iscritti a un certo partito, e una volta eletti nessuno saprà ciò che fanno o non fanno in parlamento; eliminando i partiti e non mettendo neppure i nomi sulle schede elettorali si rivoluzionerebbe la politica: un elettore dovrebbe conoscere esattamente il nome di chi vuole eleggere, non potrebbe semplicemente mettere una croce su un simbolo o su un nome, e anche Berlusconi potrebbe non essere eletto se si trovasse di fronte qualche concorrente capace, non avrebbe un peso determinante il possesso dei media e la sua ricchezza, perchè per vincere dovrebbe fare discorsi convincenti e non solo pubblicità. Oggi invece fino a quando Berlusconi potrà e vorrà sarà sempre in parlamento, non esiste modo in cui il popolo italiano possa cacciarlo senza ricorrere al linciaggio: Berlusconi potrà trovare sempre e comunque qualche centinaio di migliaio di voti per lui grazie ai suoi soldi e alle sue televisioni, anche se venisse resa pubblica una registrazione in cui chiede alla mafia di uccidere Borsellino, anche se dovesse coprirsi di ridicolo in qualunque modo possibile e immaginabile, finché non dichiarerà bancarotta ci saranno sempre molte persone disposte a credere in lui come in padre Pio, senza che lui debba mai fare un vero e proprio discorso, dare conto delle cose che ha fatto, o affrontare un dibattito contro qualche reale avversario politico o delle domande di veri giornalisti.

La democrazia funziona quando c’è una reale competizione, e quando questa competizione si basa sulle idee, non sugli slogan. Per questo dovrebbe essere naturale favorire la candidatura di professori universitari e altri uomini di cultura, e questo può essere raggiunto stabilendo degli esami di cultura generale e di storia da superare per poter candidarsi, in modo da evitare di avere parlamentari come ad esempio il Trota, e rendendo necessario e ineludibile lo scontro dialettico tra i candidati, che devono essere obbligati a confrontarsi pubblicamente. Bisognerebbe vietare la pubblicità in televisione, in radio, nei cartelloni e dappertutto, perchè chi vota deve votare il politico che sceglie perchè l’ha sentito parlare e gli è piaciuto, non perchè ha visto centinaia o migliaia di pubblicità; in questo modo chi è più ricco non sarebbe favorito, e non sarebbe necessario avere soldi per partecipare (o fare parte di un partito, come è adesso). Se si arriverà a questo allora la democrazia potrà fare un vero salto di qualità e diventare un sistema di governo realmente appetibile ed efficiente, altrimenti sarà ben presto soppiantata da rivoluzioni e dittature populiste o illuminate, che si libereranno con la forza e col sangue dei politici, dei partiti, dei banchieri e di tutti quelli che dominano o vivono parassitariamente della politica oggi.

In ogni caso sarà un miglioramento. 


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