Il valore del sacrificio in Giappone e in Italia


Nel dodicesimo secolo in Giappone infuriava la guerra Genpei, tra i clan Taira e Minamoto per il controllo del paese. A capo del clan Minamoto che uscì vincitore c’era Yoritomo, ma gran parte dei successi militari erano dovuti al suo fratello minore Yoshitsune, che era il più grande generale del suo tempo. Finita la guerra Yorimoto incominciò a preoccuparsi della popolarità che il fratello aveva guadagnato con le sue vittorie, e temendo di essere spodestato da capo della famiglia diede l’ordine di ucciderlo.

La leggenda della morte in piedi di Benkei nasce da questo episodio. Benkei era un monaco guerriero, la leggenda dice che si fosse piazzato davanti a un ponte disarmando tutti quelli che provavano a passare per collezionare mille spade, era arrivato a 999 quando incontrò Yoshitsune, che riuscì a sconfiggerlo, e così si mise al suo servizio. Così mentre i soldati di Yoritomo inseguivano Yoshitsune Benkei era con lui. Dopo due anni di fuga furono circondati nel castello di Koromogawa, e Yoshitsune decise di commettere seppuku (il suicidio rituale dei samurai) per sfuggire alla cattura. Benkei allora per dargli il tempo di completare la cerimonia si mise a guardia del ponte che conduceva al castello. I soldati nemici impauriti dalla sua fama e dalla mole gigantesca che occupava tutto il ponte non ebbero il coraggio di attaccare, e pensarono di ucciderlo usando gli archi. Ma nonostante lo avessero colpito con molte frecce Benkei continuava a rimanere in piedi al centro del ponte, in posizione di combattimento. Passarono così minuti e minuti e Benkei non si muoveva minimamente, i soldati trovarono quindi il coraggio di avvicinarsi e guardando meglio scoprirono che Benkei era già morto, ma nonostante questo aveva continuato a rimanere in piedi per proteggere il suo signore.

 

La storia della morte in piedi di Benkei è un simbolo dello spirito di sacrificio nella cultura giapponese, Non è forse inventata, perchè tecnicamente è possibile che un corpo sottoposto a grandi sforzi fisici subendo una morte istantanea si irrigidisca immediatamente per il rigor mortis, quindi è possibile che sia accaduto veramente. Indipendentemente da questo la storia di Benkei e del suo sacrificio è rimasta popolare in Giappone fino ad oggi, ed è uno degli aspetti chiave per capire la storia e la cultura giapponese.

Quando era in Giappone durante l’occupazione americana dopo la guerra, Indro Montanelli raccontò una storia che aveva sentito: un pilota che era stato premiato dopo essere ritornato alla base era morto improvvisamente, e si era scoperto che era stato ferito durante il combattimento ma nessuno se n’era accorto quando era ritornato e lui non aveva detto nulla. Montanelli rimase molto impressionato da questa storia di un soldato già morto ma che continuava a stare sull’attenti (potete trovare tutte le corrispondenze di Montanelli dal Giappone nel libro “L’impero bonsai”). Se avesse conosciuto la storia di Benkei avrebbe capito come mai una storia così estrema e assurda poteva essere ascoltata e creduta dai giapponesi senza battere ciglio, perchè era perfettamente in linea con la loro tradizione.

Per gli italiani è soprattutto difficile accettare questa mentalità, infatti lo si può vedere facendo il confronto con il comportamento degli italiani e quello dei tedeschi e dei giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Questi ultimi combattevano in nome di Hitler e dell’imperatore, ed erano disposti a dare la vita e affrontare qualunque sacrificio per l’uomo che veneravano come un dio e per la patria che esso rappresentava. Gli italiani invece non sarebbero mai riusciti a trovare dei kamikaze disposti a suicidarsi, e appena gli americani sono sbarcati in Sicilia si sono subito arresi senza combattere; mentre i giapponesi non avevano neanche bisogno di selezioni particolari per i kamikaze, i nomi erano scelti a caso e ci si aspettava che chiunque venisse fuori fosse disposto a morire, e i tedeschi continuarono a combattere retrocedendo fino al bunker di Hitler, anche quando era chiaro che non c’era alcuna possibilità di vincere. In Italia solo il generale Borghese e la sua decima mas ebbero il coraggio di continuare a combattere fino alla fine, e quando furono catturati avevano ancora le armi in pugno.

Certo si può dire che questo carattere degli italiani li abbia protetti dal prolungare ulteriormente la guerra e commettere molte atrocità, come fecere tedeschi e giapponesi, ma alla lunga è un modo di pensare che non paga. Tedeschi e giapponesi potevano dire di avere dato tutto, di avere lottato per quello in cui credevano, anche se poteva essere sbagliato e potevano essere stati ingannati, gli italiani no. Per questo dopo la guerra fu possibile il trasformismo degli italiani che finsero di non essere mai stati fascisti, mentre in germania molti nazisti continuarono ad avere ruoli nel governo e nell’amministrazione pubblica senza che fosse uno scandalo, i tedeschi non amavano ricordare il passato perchè era stata una terribile e dolorosa sconfitta, ma sapevano di essere responsabili di quello che era successo, e per i giapponesi era lo stesso. Per gli italiani no, quasi tutti dopo poco erano sinceramente convinti di non essere mai stati fascisti, perchè non credendo in nulla potevano facilmente credere a qualunque cosa gli facesse comodo. In questo modo era possibile la guerra civile che sconvolse l’Italia durante l’occupazione tedesca e anche dopo la fine della guerra, così come era possibile avere simpatia per le brigate rosse durante gli anni di piombo, o giustificare l’esistenza della mafia accusando lo stato di non essere abbastanza presente. Se si rifiuta la propria responsabilità di essere padroni della propria storia, di poter decidere ed eventualmente sbagliare, si lascia il potere nelle mani dei pochi che hanno il coraggio di agire, quando poi qualcosa va male si può sempre negare di avere mai effettivamente appoggiato i fascisti, i terroristi, i mafiosi, o Berlusconi. Paradossalmente i tedeschi si sentivano più parte dello stato di quanto gli italiani se ne siano mai sentini durante la democrazia, perchè per l’italiano lo stato è sempre qualcosa al di fuori di se stesso, anche quando ha potuto votare: è lo stato che impone le tasse senza darti niente in cambio, che ti manda in guerra a morire per decisioni sbagliate, che non sa gestire l’economia, e i politici sono quelli che pensano solo alla poltrona, agli stipendi e ai loro interessi. Ma in realtà sono gli italiani comuni che si comportano così: se possono evadono sempre le tasse e ne sono orgogliosi, poi è colpa dello stato se non ci sono i soldi e bisogna aumentare le tasse; quando Mussolini a piazza Venezia annunciò la guerra la gente che lo guardava non aveva nessuna voglia di combattere, ed ancor meno di farlo a fianco dei nazisti, ma nonostante questo applaudì e finse di essere contenta, per poi piangere e maledirlo dopo qualche minuto in privato; e se fossero loro al posto dei politici non farebbero altro che pensare al loro interesse personale, non provano riprovazione nei confronti dei politici corrotti ma invidia e ammirazione per i soldi che riescono a fare senza faticare sulle spalle degli altri.

Montanelli una volta scrivendo di Starace disse che non voleva essere troppo duro con lui perchè “era uno  che non credeva in nulla, ma in quel nulla ci credeva veramente e per esso morì. E quando i partigiani lo stavano fucilando li riprese perché non tenevano imbracciato il fucile nella maniera corretta. “. 


You are not authorized to see this part
Please, insert a valid App IDotherwise your plugin won’t work.

Una risposta a “Il valore del sacrificio in Giappone e in Italia”

  1. Ho letto alcuni dei tuoi articoli e mi sono sembrati interessanti, ma leggendo questo sono rimasto scioccato e leggermente deluso dalle deduzioni che se ne evincono, per prima cosa gli italiani hanno dimostrato valore in battaglia da sempre anche più di altri popoli propeio perché in qualcosa ci credevano, oltre alla Flottiglia MAS le truppe coloniali (sia ascari che esercito nazionale) nonostante la carenza di truppe meccanizzate e di equipaggiamenti hanno sempre dimostrato fede e valore incrollabili, vorrei menzionare la battaglia di Cheren sconfitta italiana, certo, ma con quanto stupore inglese gli italiani hanno resisitito? oppure Vittorio veneto nella prima guerra mondiale? Vorrei i noltre ricordare il detto il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupitp il soldato tedesco. Oppure le parole di Churchill quando egli stesso ammise cje senza carenza di mezzi la guerra per l’Italia non sarebbe finita in questo modo, vogliamo parlare del senso del dovere tedesco? Un semplice paragone: gli italiani in Libia sono rimasti a combattere mentre l’Afrikancorps già si ritirava, alla faccia del senso del dovere, gli italiani invece in Russia inquadrati sotto l’ARMIR si sono ritirati al pari dei colleghi tedeschi, vorrei inoltre ricordare chein Italia c’é sempre stata una forte opposizione al regime che in paesi con mentalità meno elastica e più robotica come Giappone e Germania non c’era.

Rispondi a Christian Morisani Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Plugin from the creators ofBrindes :: More at PlulzWordpress Plugins