Preti comunisti: da San Benedetto a Helder Câmara


Gesù faceva parte probabilmente degli esseni, che erano i comunisti del mondo ebraico. Per le curiose strade che prende la storia, nel ventesimo secolo la Chiesa e il comunismo sono stati irriducibili rivali, non perché vi sia una ragione effettiva ma per colpa di Stalin, che trasformò il comunismo in totalitarismo. Se la Russia avesse avuto una storia diversa, oggi forse cristianesimo e comunismo sarebbero le due parti di una stessa medaglia, invece la Chiesa ha dovuto creare una sua dottrina sociale (che chiedeva le stesse cose dei comunisti ma con un po’ più moderazione), e il comunismo cercò di sostituirsi alla religione (non riuscendoci neanche in Russia, con le chiese trasformate in musei dell’ateismo).

Oggi la Chiesa caccia e scaccia i preti ritenuti comunisti, o comunque di idee troppo avanzate o anche solo critici della ricchezza della Chiesa. In passato c’era un po’ più libertà, sebbene anche Dante ricordi nell’inferno la persecuzione di fra’ Dolcino, che fu braccato e giustiziato solo perché voleva riportare la povertà evangelica negli ordini monacali come ai tempi di san Francesco o degli apostoli (da cui derivò il nome di “apostolici”, perché “Gesù e gli apostoli non avevano mai posseduto nulla”). Dante fa trasparire un po’ di simpatia per il frate ritenuto eretico, Maometto che ne parla nella commedia gli chiede di dirgli di armarsi per prepararsi ad affrontare il vescovo di Novara (che era stato incaricato dal Papa di catturarlo); non può fare a meno di riservargli un posto tra gli scismatici, perché Dolcino non si pentì mai, non rinnegò le sue idee né dopo la tortura né in punto di morte. La sua comunità fin dall’ottocento è stata considerata una specie di gruppo comunista medievale, a dimostrazione di come l’applicazione di una vita cristiana non sia lontana dalle idee del comunismo sulla abolizione della proprietà privata e delle gerarchie sociali.

Un altro cattocomunista, come amerebbe chiamarlo Berlusconi, era san Benedetto, che nelle sue Regola scriveva: “Nel monastero il vizio della proprietà deve essere assolutamente estirpato fin dalle radici. Tutto sia in comune a tutti, come dice la Scrittura, e nessuno dica o consideri sua proprietà qualsiasi cosa”. Anche per lui, come per Dolcino, la vita monastica era una specie di comune comunista. Certo non pretendeva che tutti rinunciassero alla proprietà privata, come teorizza il comunismo, ma comunque essendo Benedetto un santo ed essendo la vita monastica vista come una delle più rispettabili e importanti occupazioni nel medioevo tutto ciò è molto significativo. Oggi si guarda ai miliardari, ai calciatori e alle persone dello spettacolo che guadagnano tanti soldi, hanno tutto e non fanno niente o quasi; il punto di riferimento è l’avere senza l’essere. Nel medioevo era molto meglio: anche se poi di fatto nessuno raggiungeva il completo abbandono a Dio e il disinteresse per le cose terrene, almeno le preoccupazioni materiali erano un po’ smorzate, non c’era tutti i giorni una pubblicità martellante per spingere i medievali a comprare cose di cui non avevano nessun bisogno.

Ma è arrivando ai giorni nostri che troviamo gli esempi migliori. Migliori sia nel senso che essendo più vicini a noi temporalmente li possiamo capire meglio, sia perché sono vissuti nel ventesimo secolo, l’età della catastrofe e della miseria in cui la miseria e le differenze economiche più insensate hanno lacerato il mondo. Nel medioevo c’erano i poveri, certo, ogni comunità aveva dei mendicanti e li sfamava con l’aiuto di tutti; era considerato un dovere della società aiutare chi non aveva nulla, e non c’era uno stato che desse pensioni di invalidità o di vecchiaia. A quel tempo i mendicanti stavano fuori dalla chiesa ad aspettare la gente che usciva dalla messa, oggi spesso vengono cacciati perché disturbano.

In Italia abbiamo avuto don Milani, protagonista della rivoluzione culturale del ’68 col suo libro “Lettera a una professoressa” contro la scuola italiana, fatta apposta per promuovere i ricchi e bocciare i poveri. Don Milani non era comunista perché rifiutava la mancanza di spiritualità del comunismo, ma credeva nella necessità di pensare ad elevare le condizioni di vita del popolo: “Da bestie si può diventare uomini, e da uomini santi, ma da bestie a santi il salto non si può fare”. Don Milani fu esiliato in uno sperduto paesino sull’Appennino tosco-emiliano dopo che aveva infiammato Firenze. Il vescovo pensava che lassù potesse al massimo predicare alle pecore, e che forse dopo un po’ di tempo si sarebbe stancato e avrebbe chiesto perdono pur di ritornare a una vita civile. Invece continuò a criticare il suo vescovo e la Chiesa, e anche dalla cima di una montagna le sue idee raggiunsero tutta l’Italia. Don Milani aveva scelto di improvvisarsi maestro per dare ai figli dei pastori un futuro diverso dal rimanere semianalfabeti a pascolare le vacche, e per questo fu criticato perché insegnava ai bambini a leggere e non il catechismo. Come fra’ Dolcino non si pentì mai e fu sepolto su quella montagna (Qui potete trovare su Amazon tutti i libri di o su don Milani).

In Brasile invece c’è stato Dom Helder Câmara, uno dei più grandi santi del ventesimo secolo. Soprannominato a scelta “il vescovo rosso” e “il vescovo delle favelas”, visse per tutta la vita povero tra i più poveri. La sua frase più famosa era “Quando faccio qualcosa per i poveri dicono che sono un santo, quando chiedo perché sono poveri dicono che sono comunista”. Dom Helder Câmara, come e ancor più di don Milani, aveva in comune col comunismo l’impegno per l’emancipazione dei poveri, un chiaro segno di come i tempi fossero cambiati rispetto al medioevo, in cui la preoccupazione dei mistici era la vita in comune e l’abbandono delle ricchezze. Non è un paradosso, oggi la miseria è molto più estesa che non nel medioevo, anche se alla gente che vive nell’occidente non sembra; nel medioevo non c’era bisogno di pensare a come risolvere il problema della povertà, bastava un po’ di carità da parte di tutti e si poteva dar da mangiare ai mendicanti che c’erano. L’economia non si basava esclusivamente sul denaro, non c’era la disoccupazione di oggi, né c’erano le favelas con milioni di persone nelle baracche. Dom Helder Câmara è stato il creatore della teologia della liberazione, il tentativo della Chiesa cattolica nei paesi poveri di rivoluzionare e ravvivare se stessa ed essere più vicina al popolo e ai poveri. Quando scoppiò la rivoluzione in Russia la chiesa (anche se in quel caso non si trattava della cattolica ma di quella ortodossa) si schierò dalla parte dello zar e dei boiardi che avevano oppresso il popolo; allo stesso modo in Spagna parteggiò prima per il re contro i repubblicani, e poi per Franco contro i comunisti, fino ad appoggiare la dittatura di Franco fino alla sua morte; in Cile e Argentina i parenti dei desaparecidos hanno inutilmente chiesto l’aiuto della Chiesa, che ha sempre appoggiato Pinochet e i militari pur di tenere lontani i comunisti e i socialisti. Insomma la Chiesa aveva meritato l’anticlericalismo dei comunisti e la sfiducia in essa dei paesi del terzo mondo, ma in sudamerica era anche più viva la fede cristiana più semplice e autentica, come quella dei cubani o dei brasiliani che con la santeria o altre sette simili adorano, senza saperlo, vecchie divinità africane cristianizzate al momento della deportazione dei loro avi nelle americhe. La teologia della liberazione non è solo una idea filosofica o religiosa astratta, ha delle basi politiche ed economiche, e per questo Giovanni Paolo II, pur approvandola e simpatizzando per essa, non ebbe il coraggio di dichiarare ufficialmente il suo appoggio. Dom Helder Câmara diceva: “Sviluppo è il nuovo nome della pace” e “La prima violenza è la miseria in cui versano tante masse”, a sottolineare come la fame, le malattie, la miseria e l’ignoranza uccidano molte più persone della guerra, e in maniera peggiore; e come non ci possa essere pace senza uno sviluppo dei paesi poveri, al contrario di quelli che oggi pensano che la democrazia basti a portare la pace (gli americani ne sono un esempio essendo sempre in guerra, ma anche in passato la Roma repubblicana, Cartagine, Atene, l’impero britannico erano tutte democrazie ed erano quasi costantemente in guerra). Dom Helder Câmara morì tra i suoi poveri, come era sempre vissuto (Clicca qui per trovare su Amazon tutti i libri di dom Helder Camara).


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